La nuova decisione del tribunale federale limita notevolmente i giovani imprenditori
Se si vende la propria azienda ottenendo un utile di capitale, esso è sostanzialmente esente da tasse. Il tribunale federale ha da poco preso una decisione che rende relativo questo principio e allo stesso tempo solleva molte questioni.
Nuova decisione del tribunale federale
Se un imprenditore vende le sue quote private a una società ottenendo degli utili, essi rimangano sostanzialmente esenti da imposte (art. 16 comma 3 Legge federale sull’imposta federale diretta (LIFD)). Con la sentenza del 3 aprile 2015 il tribunale federale ha stabilito che l’utile di capitale complessivo ottenuto dalla vendita di un’azienda deve essere tassato come salario (TF 2C_618/2014 e 2C_619/2014). Questa classificazione rende relativo il principio dell’utile di capitale esente da imposte e solleva molte questioni.
I profitti ottenuti dalla vendita dell’azienda sono considerati reddito da lavoro salariato
Nel caso in questione il partner di una società finanziaria trasformò uno dei settori aziendali in un’altra società. Il mese successivo il partner vendette le nuove azioni sottoscritte della società a una banca. Il prezzo di acquisto delle azioni fu corrisposto in quattro rate. La prima rata fu corrisposta al momento della stipula del contratto e le altre tre rate furono pagate dalla banca negli anni successivi, sempre con la condizione che il partner che effettuò la vendita continuasse a lavorare presso la società in questione. L’ufficio imposte classificò i profitti così ottenuti dal partner come reddito tassabile da attività dipendente. Il partner contestò tale interpretazione e difese l’opinione che si trattava di utili di capitale esenti da imposte in quanto le azioni appartenevano al suo patrimonio privato.
Il tribunale federale confermò la valutazione dell’ufficio imposte che asseriva che i profitti in questione dovevano essere tassati come se fossero un salario. Il tribunale motivò la propria sentenza indicando che il prezzo di acquisto delle azioni rappresentava effettivamente un salario per il lavoro che il partner doveva fornire in futuro. Infatti non era stato stipulato nessun contratto di acquisto per la trasmissione della proprietà delle azioni in quanto il pagamento del prezzo di acquisto era vincolato alla continuazione del rapporto di lavoro con la società.
Il tribunale contestò che il goodwill corrisposto dalla banca implicava che il partner continuasse a lavorare nella società generando profitti. Dal punto di vista economico si è in presenza di una combinazione di retribuzione iniziale (prima rata) e premi di fedeltà (seconda, terza e quarta rata) che rappresentano chiaramente un elemento retributivo.
Il tribunale ha reso relativo il principio dell’utile di capitale esente da imposte. Sussiste il rischio giuridico che in occasione della vendita di un’azienda, in cui il venditore si impegna a continuare a lavorare per la società, abbia luogo la conversione del profitto in retribuzione tassabile. Proprio nel caso delle start-up accade spesso che i fondatori continuino a lavorare nell’azienda in quanto rappresentano la forza trainante e creativa dell’impresa. Tramite la vendita si genera nuovo capitale per fare crescere ulteriormente l’impresa e lanciarsi alla conquista di nuovi mercati.
Quindi i giovani imprenditori in caso di futura vendita delle proprie partecipazioni devono definire chiaramente l’importo corrisposto per il valore dell’azienda e l’importo ricevuto per continuare la propria attività lavorativa all’interno dell’impresa.
Il presente contributo si basa sulla discussione sulla sentenza di Andrea e Barbara Stillhart-Zimmermann nel NZZ del 25 giugno 2015.